Il Ministero dello Sviluppo Economico, con la legge 115/15 del 29/7/2015, ha modificato l’allegato n.10 al Codice delle Comunicazioni, aprendo di fatto la strada alla ‘normalizzazione’ delle aziende che intendono fornire, o già forniscono, servizi di connettività e telefonia al pubblico.
Nella direzione di uniformità della normativa italiana a quelle che sono le direttive comunitarie, tale modifica, infatti, abbatte i contributi amministrativi che gli operatori devono corrispondere al Ministero per la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni e/o di servizio telefonico accessibile al pubblico.
Si aprono, quindi, nuovi scenari di liberalizzazione e le piccole/medie imprese italiane possono affacciarsi a nuovi mercati, o, ancora meglio, regolarizzare la propria posizione sul mercato delle TLC.
Ma quali sono gli adempimenti che l’operatore, deve garantire per agire correttamente nel mercato?
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Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC)
Costituisce, di fatto, l’anagrafe degli operatori di comunicazione; si tratta di un registro unico adottato dall’AGCOM, con la finalità di garantire l’applicazione delle norme del settore, concernenti la disciplina anti-concentrazione, la tutela del pluralismo informativo o il rispetto dei limiti previsti per le partecipazioni di società estere.
Gli operatori di rete hanno l’obbligo di iscrizione al ROC; tale iscrizione non richiede produzione di documentazione cartacea, ma avviene in via telematica attraverso il portale www.impresainungiorno.gov.it, utilizzando la Carta nazionale dei Servizi (CNS) fornita dalle Camere di Commercio Provinciali.
Per maggiori informazioni: https://www.agcom.it/registro-degli-operatori-di-comunicazione
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Autorizzazione generale per l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni e per l’offerta del servizio telefonico al pubblico
L’offerta al pubblico dei servizi di comunicazione elettronica viene regolamentata dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche (D.L. n. 259 del 1/08/2003), che è possibile scaricare direttamente dal sito del MISE:
In particolare, la fornitura di questi servizi è disciplinata dall’articolo 25 e soggetta al conseguimento di un’autorizzazione generale da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Il contributo annuo da corrispondere al ministero stesso per tale autorizzazione fino a poco tempo fa arrivava a 127 mila euro all’anno per l’erogazione dei servizi su base nazionale. Con la legge 115/15, tale contributo è stato rimodulato e le imprese che contano un numero di clienti pari o inferiore a 50mila vedono ridursi notevolmente tale dazio: 500 euro ogni 1000 utenti. A questo valore potrebbero aggiungersi anche i costi per gli utenti relativi al servizio fonia vocale , se erogato su numerazione propria. Se invece il servizio è reso tramite numerazioni di altro operatore, sarebbe opportuno esplicitare l’attività di rivendita di connettività fonia.
Questo permette, perciò, ai piccoli operatori di accedere in modo normalizzato al mercato TLC e, per gli operatori WISP, di poter fare richiesta di risorsa radio scarsa, accedendo alle nuove tariffe agevolate riservate ai detentori della autorizzazione in questione.
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Autorizzazione generale ad uso privato
Tale autorizzazione può e deve essere richiesta soltanto per i servizi svolti esclusivamente nell’interesse proprio del titolare della relativa autorizzazione. Si tratta perciò del caso di radioamatori, installazione di ponti radio ad uso privato, sistemi RadioLan e apparecchiature di debole potenza in ausilio alle imprese.
Entrando nel merito delle installazioni Wifi, RadioLAN e HiperLAN, non è prevista la richiesta di alcuna autorizzazione se:
- la rete è utilizzata soltanto per trasmissioni riguardanti l’attività di propria pertinenza, con il divieto assoluto di effettuare traffico per conto di terzi (Art. 101 del CCE)
- la rete viene utilizzata per fornire un servizio accessorio da parte di una impresa o di un esercizio commerciale che non ha come attività principale la fornitura di servizi di comunicazione elettronica.
Rientrano in questa categoria tutti gli esercizi commerciali che forniscono connettività WiFi, ai quali non viene nemmeno richiesto l’obbligo preventivo dell’identificazione dell’utilizzatore, fatto salvo poi richiedere tale informazione nel caso in cui si verifichi un uso non conforme della connessione a internet. Tutelarsi è bene in ogni caso, utilizzare quindi sistemi di accesso con autenticazione e validazione dell’identità rimane sempre e comunque buona norma.
Attenzione anche a come si muovono le pubbliche amministrazioni: l’art. 6 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche vieta espressamente a Stato, Regioni ed enti locali di fornire direttamente reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico se non attraverso società controllate o collegate. Per erogare questo tipo di servizi le pubbliche amministrazioni devono quindi rivolgersi a operatori autorizzati ai sensi dell’art. 25 del Codice.
Ultima considerazione, ma non meno importante: con modalità diversa da regione a regione, gli impianti fissi di comunicazione vanno dichiarati ad ARPA, Corecom e Comune di ubicazione. Le sanzioni amministrative per omessa dichiarazione non sono banali ed in particolare si può correre il rischio di essere coinvolti anche in visite ispettive “indirette”, magari destinate ad altri soggetti con i quali si condivide ospitalità su un particolare sito.
Fin qui, sembrerà, ai più, tutto molto chiaro; più controversa, invece, la situazione relativa alla gestione della risorsa radio.
La normativa è stata, negli anni, cambiata, modificata, interpretata, talvolta anche ignorata. E’ difficile quindi, anche per gli addetti ai lavori, capire esattamente come muoversi, con quali tempi, con quali modi e, soprattutto, a quali normative fare riferimento. Facciamo quindi il punto, riassumendo lo stato di fatto delle bande ‘libere’ più utilizzate.
La super-discussa banda 17 GHz
L’adeguamento alle direttive Europe, che auspicano ad una armonizzazione dell’uso delle frequenze da parte di tutti i paesi aderenti, ha spinto il MISE alla messa al bando delle apparecchiature che operano sulla banda intorno ai 17GHz, modificando, di fatto, il Piano Nazionale delle Frequenze con il Decreto 27 Maggio 2015 (http://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/radio/PNRF_27_maggio_2015.pdf)
Per semplicità di lettura, riporto la nota 234:
L’immissione sul mercato di apparecchiature a corto raggio per la trasmissione dati a larga banda ad alta velocità (WAS/RLANs) operanti nella banda 17,1-17,3 GHz è consentita fino ad un anno dalla pubblicazione del presente decreto. L’impiego di tali apparecchiature è consentito fino al 31.12.2019. Tali applicazioni rientrano nel regime di “libero uso” ai sensi dell’art. 105, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 1° agosto 2003 n. 259 e successive modifiche recante il Codice delle comunicazioni elettroniche.
Ciò significa che è non è più possibile immettere sul mercato nuove apparecchiature che operano in quelle bande, mentre è ancora possibile commercializzare e installare ciò che è l’esistente entro e non oltre il 31/12/2019. A partire dal 1/01/2020 tutte le installazioni esistenti a 17 GHz devono essere spente; in caso contrario, è prevista una sanzione amministrativa (che generalmente cresce esponenzialmente con il numero di siti interessati) e il sequestro dell’impianto.
Erroneamente a quanto pensano in molti, tale decreto non ha mai cambiato la destinazione d’uso di quella banda: non è mai stato possibile, infatti, fare trasporto pubblico di dati sulla banda 17.1-17.3 GHz, anche se in possesso della autorizzazione generale, come da sempre indicato nel PNF. Prima della modifica, infatti, tale nota recitava:
“La banda di frequenze 17,1-17,3 GHz può essere impiegata ad uso collettivo da sistemi a corto raggio per la trasmissione dati a larga banda ad alta velocità (WAS/RLANs) aventi le caratteristiche tecniche della raccomandazione CEPT ERC/REC 70-03 (Annesso 3). Tali utilizzazioni non debbono causare interferenze al servizio di radiolocalizzazione, né possono pretendere protezione da tale servizio.
Tali applicazioni rientrano nel regime di “libero uso” ai sensi dell’art. 105, comma 1, lettera b) del Codice delle Comunicazioni elettroniche, emanato con decreto legislativo 1° agosto 2003, ad eccezione di quanto disposto dall’art. 104, comma 1, lettera c), numero 3), dello stesso Codice che prevede il regime di “autorizzazione generale”. ”
Il MISE, dunque, ha colto al balzo la palla ‘europea’ per porre fine all’uso indiscriminato di questo piccolo range di frequenze e spingere gli operatori ad orientarsi verso il mondo della risorsa licenziata.
Per quanto riguarda, invece, la banda 24GHz libera?
Lo spettro 24.000-24.250 GHz è armonizzato a livello europeo pertanto la sua destinazione d’uso è definita a livello comunitario; non subirà quindi la stessa sorte del 17 GHz, con cui ha condiviso soltanto la destinazione d’uso (vedi nota 253 al PNF), che, ancora una volta, ne vieta l’impiego per la realizzazione di ponti radio fissi per trasporto di banda.
E la buona e cara banda 5GHz?
Anche lo spettro a cavallo dei 5.470-5725 GHz è armonizzato a livello europeo e ha una sua chiara definizione in termini di destinazione d’uso:
Le bande di frequenze 5.150-5.350 MHz, limitatamente all’utilizzo all’interno di edifici, e 5.470-5.725 MHz possono essere impiegate, su base di non interferenza e senza diritto a protezione, ad uso collettivo, da sistemi a corto raggio per la trasmissione dati a larga banda ad alta velocità (WAS/RLANs) aventi le caratteristiche tecniche di cui all’art. 4 della decisione 2005/513/CE, così come modificata dalla successiva 2007/90/CE.
Tali applicazioni, per quanto riguarda l’uso privato, rientrano nel regime di “libero uso” ai sensi dell’art. 105, comma 1, lettera b) del Codice delle Comunicazioni elettroniche, emanato con decreto legislativo 1° agosto 2003, ad eccezione di quanto disposto dall’art. 104, comma 1, lettera c), numero 3) dello stesso Codice che prevede il regime di autorizzazione generale.
Per quanto riguarda l’uso pubblico, lo stesso è regolamentato dal d.m. 28/05/2003, modificato dal d.m. 04/10/2005 e dalla delibera dell’Autorità n.183/03/CONS.
In particolare, per l’uso pubblico, il CCE fa riferimento all’utilizzo di tali bande solo ed esclusivamente per applicazioni di accesso, non di trasporto; di fatto, si ricade nuovamente in una errata abitudine dell’operatore di utilizzare queste bande di frequenza per fare indiscriminatamente accesso e trasporto.
Cosa fare quindi?
Assodata ormai la tolleranza delle autorità nei confronti di queste ‘deroghe’ in norma, l’operatore di fatto, per poter realizzare la sua rete di trasporto radio, non ha altra scelta che accedere alla risorsa scarsa. L’allegato 10 al CCE riporta i costi di concessione per ogni banda di frequenza, suddivisi in range fino a 10 GHz, da 10 a 20 GHz, da 20 a 29 GHz, oltre i 29 GHz. Nessuno sconto è previsto, al momento, per gli operatori che utilizzano V-BAND (lo spettro intorno ai 60 GHz) e E-BAND (70-80 GHz), come invece accade per molti paesi esteri. Che la chiusura del 17 GHz possa portare alla liberalizzazione di queste frequenze?
Per il momento nessuna indiscrezione, restiamo sintonizzati in attesa di ulteriori novità sul fronte.